mercoledì 30 dicembre 2015

La sindrome da Capitano


Nella mia esperienza di consulente in azienda ho incontrato molti leader, alcuni dei quali hanno avuto la mia ammirazione per la capacità di gestione e la fluidità di lavoro che riuscivano a creare nel team, muovendosi soprattutto su un lato "umano", mantenendosi umili e riuscendo ad essere ottimi punti di riferimento per ogni singolo componente del gruppo.
In questi casi fui io ad imparare molto e il mio intervento servì solamente a registrare alcune valvole che potevano lavorare ancora meglio.
Per contro, ho osservato anche manager che rendevano veritiero uno degli illuminati aforismi di Oscar Wilde che recita: "è con le migliori intenzioni che a volte si producono gli effetti peggiori".

Con le "pillole di leadership evoluta" che, tempo permettendo, vorrei proporre periodicamente sul mio Blog, cercherò di dare un umile contributo a chi si trova ogni giorno a dover coordinare gli sforzi di un gruppo, muovendosi in un "campo" (vedi "teoria del campo" di K. Lewin di cui ho già fatto accenno nel Blog) composto da tanti individui, quindi da tanti EGO... e dalla qualità delle loro relazioni, un campo in cui tutto si influenza in una dinamica circolare, mai lineare.

In linea generale credo che l'umiltà sia la dote che fa la differenza per una buona leadership, lo dimostra - tra gli altri - un testo di E.H. Schein dedicato all'umile ricerca di informazioni ("L'arte di far domande" | E. H. Schein | Ed. Guerini Next).

In assenza di umiltà esiste un catalogo intero di comportamenti disfunzionali che al leader possono far perdere di vista gli obiettivi di gruppo e che minano gravemente la potenziale fluidità del lavoro condiviso.

Considerarsi "il migliore" porta spesso a non sfruttare la caratteristica positiva saliente di un gruppo, ovvero l'insieme di più intelligenze che formano una grande intelligenza, che non è costituita solamente dalla semplice somma dei cervelli coinvolti, ma dalla somma dei contributi dei singoli in termini di creatività, emozioni, relazioni, intuito e professionalità (V. Intelligenza Gruppale e Gestalt).

I leader che nelle organizzazioni sono chiamati ad affrontare problemi specifici - ad esempio come organizzare una campagna vendite stagionale o prospettare a un potenziale cliente importante il picco di vendite più efficace - dovrebbero garantirsi la collaborazione dell'intero team per raggiungere i propri obiettivi, anche se sono meglio informati, più esperti e capaci di tutti.

Ci sono studi, come quello condotto dal comportamentista Patrick Laughlin, in cui si dimostra che gli approcci e i risultati di un gruppo, i cui membri congiungono gli sforzi per giungere a una soluzione, non solo sono migliori di quelli di ogni quadro medio che lavori da solo, ma anche di quelli che raggiunge il più competente del team se lavora in autonomia.

E' dimostrato che il leader migliore che lavora individualmente viene di solito sconfitto nella ricerca di una soluzione da un gruppo meno esperto ma coeso e collaborativo: il contributo degli altri ha la prerogativa di stimolare processi creativi che non possono essere sviluppati lavorando da soli.

Oltre al pericolo di considerarsi il migliore c'è quello di essere considerati dagli altri il più brillante o il più esperto, col risultato che i membri della squadra tendano a demandare le decisioni a chi ha lo status di leader come autorità legittima e infallibile.

Chiamato in inglese captainitis, si tratta di un comportamento pregno di passività da parte del gruppo anche di fronte a decisioni chiaramente sbagliate e discutibili prese dal leader: lo ha deciso lui quindi è giusto. In presenza di questa "sindrome da Capitano" si azzerano i confronti, le spinte creative, le visioni differenti.

Per concludere, quando i leader trascurano di chiedere suggerimenti ai membri del team e quando questi rinunciano ad affermare le proprie opinioni davanti ai leader, si può creare un circolo vizioso autoimmunizzante, che porta a processi decisionali scadenti, scelte sbagliate ed errori altrimenti evitabili.

La leadership collaborativa, in cui il dissidente autentico* sia il benvenuto, può essere la chiave per spezzare il circolo vizioso ma, per accogliere benevolmente il dissidente autentico, è necessaria una certa dose di umiltà e il controllo dell'ego.

_________
*Il dissidente autentico è colui che dissente non per il piacere egocentrico di dissentire, ma perché ha a cuore il bene del team. E' ben diverso dallo yesbutter (collaboratore che ha in bocca spesso l'espressione "sì, però...") che, invece, si crogiola nell'egocentrismo e spesso ascolta solamente la propria voce.


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