sabato 2 gennaio 2016

Come rispondere a chi ci attacca verbalmente?

Non è sano portare a casa i problemi di lavoro.

Abbiamo tutti sentito o letto questa frase almeno una vota nella vita e sono convinto che non esista essere umano al mondo che non la trovi sacrosanta, nel suo tutelare le persone che amiamo, evitando loro di vederci nervosi a causa di noie lavorative.

Permettetemi di riformulare la frase al contrario e ditemi se non funziona anche così: non è sano portare i problemi familiari nell'ambiente di lavoro.
Eppure accadono entrambe queste situazioni, forse perché siamo "poco sani" in fondo.

Chi, per posizione professionale, deve rendere conto dei suoi risultati a un superiore, può trovarsi, a volte, a dover fare i conti con una luna storta di quest'ultimo.

Ci sono giorni in cui anche il nostro capo può essere nervoso ed avere una certa predisposizione alla rottura di zebedei fine a se stessa: sono momenti in cui, con modalità random, andrà a punzecchiare qualche nostro pari qua e là o magari si presenterà proprio davanti a noi per fare la stessa cosa, o ci convocherà nel suo ufficio.
Capita anche nei migliori ambienti di lavoro.

Il catalogo di possibili stoccate è molto vario, dipende sia dalla qualità culturale del capo in questione che dal grado di tensione da lui accumulato.

Facciamo un esempio abbastanza tipico: il capo fa capolino (scusate il gioco di parole) alla porta del nostro ufficio e, dopo i consueti come va?, tutto bene? ci dice "Mi sembra che ultimamente non stai dando il 100%, come me lo spieghi?"

Vi è capitata una situazione simile? Come avete reagito? Vi siete difesi?

Nelle simulazioni in aula di solito i partecipanti che si calano in questi panni da preda tendono a rispondere, a difendersi, fornendo argomentazioni logiche per dimostrare che non è così, che il capo si sta sbagliando, oppure, se i dati di reparto dimostrano un'effettiva flessione, corrono al riparo adducendo scuse come la difficoltà del mercato, la crisi, la poca liquidità e compagnia bella.

Quando ci difendiamo rendiamo vera e legittima l'accusa.
Chi si difende opera da una posizione di svantaggio (one-down).
Possiamo, invece, respingere la premessa su cui si fonda l'accusa.
Il capo ci sta dicendo, in altre parole, che non stiamo lavorando tanto, o comunque non tanto quanto lui si aspetterebbe: questa è la premessa che deve essere respinta.

Se obiettiamo che facciamo più ore di qualsiasi altro collega e quindi stiamo dando il 110 per cento, il capo potrà controbattere "tante ore ma... resa poca" oppure "non sai delegare", e comunque avrà la possibilità di dettagliare ulteriormente quali sono i nostri punti deboli, utilizzando le nostre stesse argomentazioni e smontandole una ad una. A questo punto siamo saliti sul ring e ci troviamo... alle corde.

Se dovesse capitarvi, o ricapitarvi, provate, con eleganza, senza essere strafottenti, indossando uno sguardo sincero e curioso, a chiedere: A cosa si riferisce in particolare?

Non rispondete a un'accusa, chiedete a lui di entrare nello specifico! 

Rispondete... con una domanda per capire meglio quella che ha tutta l'aria di essere un'accusa generalizzante.

Fate in modo che sia l'altro a rispondere e a dover tenere in piedi l'accusa, fornendo dei dati specifici: troverà sicuramente qualche difficoltà a sostenere le sue affermazioni (vi ricordo che le premesse dell'esempio in questione vedono la critica del capo muoversi sulla base di una luna storta, non su un effettivo vostro cattivo rendimento).

Consiglio sempre, in questi casi, di indurre l'interlocutore a spiegare perché la premessa è giusta, piuttosto che essere voi costretti a spiegare perché la vostra risposta è giusta.

Ogni premessa generale analizzata nel dettaglio, nel momento in cui chi l'ha formulata deve giustificarla, quasi sempre appare sciocca e priva di valore.

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