domenica 14 febbraio 2016

Se mi invadi... non posso stimarti.

Molte delle nostre rabbie dipendono da invasioni del nostro territorio da parte degli altri.
Quali sono i limiti?
Come proteggiamo i confini?
Quanti territori abbiamo da difendere?


Antonella è una giovane candidata che si presenta a un colloquio di selezione.
Il ruolo in gioco è quello della seconda segretaria del manager.
Trattandosi di una donna piuttosto spigliata e aperta alle relazioni, dimostra subito la sua energia andando a stringere la mano, uno per uno, ai tre selezionatori e presentandosi con voce chiara e assertiva, prima di accomodarsi a sedere.
I selezionatori sono:
  • il manager
  • l'attuale unica segretaria
  • il direttore delle vendite
Ognuno dei tre ha il suo territorio... da difendere.

Il manager, persona piuttosto riservata e in generale poco entusiasta, percepisce una sorta di invasione e pensa "Calma con gli entusiasmi...", sentendo - senza spiegarsi il perché - vacillare il suo ruolo.

La segretaria, dal canto suo, sente subito puzza di concorrenza ed etichetta la candidata come una pericolosa rampante.

Il direttore delle vendite, invece, muovendosi in un territorio ben differente da quello dei primi due, la considera subito in maniera positiva, e in lui si accende addirittura l'idea di assumerla come agente di vendita, per le sue qualità relazionali.

Ovviamente Antonella aveva le migliori intenzioni, non si immaginava di sortire effetti così differenti dalle sue aspettative. Purtroppo non ha valutato, per mancanza di conoscenze, che ciascun individuo si sente irritato quando avverte il pericolo di essere privato dei sui diritti territoriali.

Da adulti abbiamo quattro territori da difendere.


La difesa del proprio territorio è una predisposizione atavica di ogni essere vivente e poggia sull'istinto di sopravvivenza. Noi esseri umani, in particolare, abbiamo ben quattro territori da salvaguardare:

  1. Il nostro corpo.
  2. La zona sociale, ovvero la distanza minima dal nostro corpo, che uno sconosciuto deve rispettare e che è quantificata nella misura di un braccio da spalla a spalla. Questo territorio varia molto a seconda della cultura: nei paesi arabi, ad esempio, si accorcia notevolmente. Nel deserto è normale anche abbracciare uno sconosciuto, perché, a causa degli indumenti molto ampi, l'abbraccio era il modo migliore per assicurarsi dell'assenza di armi, mentre nei paesi anglosassoni sarebbe considerato una pazzia.
  3. Lo spazio gruppale, dove ci preoccupiamo di difendere la nostra casa e il nostro gruppo di persone, quelle importanti per noi a livello affettivo.
  4. La riserva di approvvigionamento, ovvero l'area in cui operiamo per assicurarci il cibo: un tempo era la nostra vera e propria riserva di caccia, oggi è il nostro ufficio o, in generale, il luogo di lavoro.

La prima modalità che utilizziamo - seppur inconsapevolmente - per marcare il nostro territorio è sempre il linguaggio del corpo. Prima di dire qualsiasi cosa, prima di difendere o attaccare, è il nostro corpo a dare precisi segnali all'intruso.

Entriamo in un bar per una pausa lavorativa in cui vogliamo bere un the, staccare la spina e leggere il quotidiano per qualche minuto in santa pace. 
Puntiamo un piccolo tavolino, ci accomodiamo e, senza rendercene conto, iniziamo a sparpagliare qua e là un po' di pezzi di noi, per segnalare che quel territorio è nostro e non vogliamo intrusioni. 
Ecco che la ventiquattr'ore si aggiudica la sedia alla nostra destra, il cappotto quella a sinistra, il cellulare e il porta occhiali si guadagnano il tavolo, magari insieme all'agenda o al Tablet, e in pochi minuti abbiamo "recintato" il nostro spazio momentaneo.
Qualsiasi individuo si dovesse avvicinare per chiederci, ad esempio, di poter prendere la quarta sedia (quella ancora libera, che non ci serve affatto), ci darebbe fastidio. Se qualcuno ci chiedesse di potersi sedere proprio lì, darebbe vita a un catalogo di nostri segnali non verbali che esprimerebbero rifiuto, difesa e distacco, nonostante un permesso accordato per buona educazione.

Solo le NON-PERSONE ci risultano innocue.


In una situazione come quella appena descritta nel bar, gli unici soggetti ai quali permettiamo di entrare nella nostra zona di comfort sono i camerieri, poiché il nostro inconscio li considera non-persone, quindi non pericolosi.

Gli schedati come non-persone sono anche infermieri, massaggiatori, hostess, e tutti gli addetti all'assistenza momentanea.
Con questi soggetti non attiviamo proprio il meccanismo di protezione, quindi il nostro corpo non emette alcun segnale di rifiuto o di difesa, a meno che essi non escano dai naturali confini della loro professione.

Gli individui più forti hanno più diritti.


Chi riveste incarichi di livello superiore, in ambito lavorativo, viene rispettato più facilmente nel suo territorio. Se la segretaria deve conferire con il suo capo, bussa e attenderà un cenno di assenso prima di entrare nel suo ufficio.

Ma questo rispetto avviene anche nell'altro senso?
Il capo rispetta il territorio dei suoi sottoposti, oppure lo invade senza annunciarsi, arrogandosi il diritto di farlo, dal momento che paga loro lo stipendio e non ha tempo per annunciarsi?

Certo il tempo è prezioso, soprattutto per un capo indaffarato e immerso in mille responsabilità, tuttavia esistono titolari sensibili che si annunciano semplicemente facendo sentire i propri passi o schiarendosi la voce prima di comparire davanti a un dipendente.

A volte, suocere e nuore non hanno il senso del territorio...


Spesso la mamma del marito pensa che il figlio sia ancora parte del suo territorio, senza valutare che lo stesso pensiero ce l'ha anche la nuora, quindi si creano accavallamenti e sovrapposizioni che in breve tempo generano crisi, fatte di aspettative di rispetto frustrate. Si litiga, ci si buttano addosso colpe, senza valutare che in fondo è una questione di territorio violato e che basterebbe un po' di tatto da entrambe le parti per evitare disastri.

... spesso nemmeno i mariti e le mogli.


Lei e lui lavorano entrambi, ma la moglie fa un part-time e al pomeriggio ha mille cose da sbrigare per la famiglia e per la casa: fare la spesa, accompagnare il piccolo maschio a calcio, la piccola femmina a danza, riassettare la casa, cucinare e compagnia bella.
La moglie, dal momento che ci mette più schiena nel territorio della casa, lo vive come più suo per diritto acquisito e pretende che alcune regole vangano rispettate.

Il marito che la sera rientra dal lavoro e sparge come Pollicino le tracce della sua esistenza qua e là, genera in lei, che magari ha appena finito di riordinare, un certo risentimento.
Quel cappotto abbandonato da lui sul divano - perché deve terminare una telefonata importante - quella valigetta ventiquattrore appoggiata sopra il tavolo anziché nello studio, quelle gocce dorate che decorano l'asse del wc appena pulito, possono essere motivo di lite, ed è così normale se si pensa alla difesa del territorio.

Basta poco a volte: si può provare a mettersi nei panni dell'altro e guardare il mondo dal suo punto di vista, domandandosi qualcosa sul territorio e sui confini degli altri, ad esempio, non concentrarsi sempre e solamente sui nostri.

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